numero sette – settembre 2025
I fantasmi sono come i sogni. Secondo la concezione di Jacques Derrida, si presentano non richiesti e mettono in relazione il passato con il futuro. Svelano non solo quello che siamo stati, ma anche quanto desideriamo e, quindi, ciò che potremo essere. Ci disturbano, mettendo in discussione la linearità del tempo e infestando il nostro oggi con ciò che sarà, o con tutto quello che credevamo di esserci lasciato alle spalle. Questa capacità dei fantasmi di trascendere le categorie alle quali ci aggrappiamo quotidianamente per sistemare le nostre esistenze sui binari della certezza, fa di loro i più efficienti emissari dei nostri desideri più profondi: quelli che dimorano al di là di ogni regola o etichetta. L’istitutrice senza nome del Giro di vite di Henry James ce lo dice al suo primo incontro con il fantasma del maggiordomo Peter Quint: “Ciò che mi aveva fatta fermare di colpo […] era l’impressione che la mia fantasia, in un lampo, fosse diventata realtà”. Per questo abbiamo scelto di mettere a fuoco, accostandolo all’opera di Benjamin Britten tratta dalla novella di Henry James, il tema della paura. Che è la reazione umana più comune quando ci si avvicina alla verità. Arriva nel momento in cui la nostra comprensione di quanto ci nascondiamo si fa più minacciosa. Quando il velo delle illusioni si rompe e siamo costretti ad abbandonare l’arroganza delle nostre multiformi costruzioni esistenziali per familiarizzare con ciò che le nostre certezze intendevano nascondere. Non a caso Henry James, con la sua indecifrabile storia di fantasmi, ha destato grande interesse fra gli studiosi della Queer Theory. E sulle sue tracce Benjamin Britten ha saputo far precipitare in musica le ambiguità di quel racconto. Basti pensare al vocalizzo melismatico con il quale il fantasma di Quint si presenta al pubblico, riuscendo a far superare alle nostre orecchie qualunque attribuzione di genere nei confronti del personaggio che sta cantando, grazie a una sonorità unica, autenticamente trasgressiva.
Paolo Cairoli, direttore di Calibano
Calibano – L’opera e il mondo è la rivista del Teatro dell’Opera di Roma. Nata come spazio di approfondimento e di dibattito intorno a temi di attualità sollevati a partire dagli spettacoli in cartellone e realizzata in collaborazione con la casa editrice effequ, il progetto editoriale prevede, ogni quattro mesi, la pubblicazione e la diffusione nelle librerie italiane di un volume monografico dedicato a un titolo d’opera e a un tema ad esso collegato, attraverso la commissione di saggi, racconti e recensioni di firme autorevoli. In questo sesto numero, la rivista riflette sulla Magia, in tutte le sue declinazioni politiche, estetiche, linguistiche.
Potete acquistare “Calibano” sul sito di effequ a questo link, in libreria e presso lo shop del Teatro dell’Opera di Roma.
La copertina e le illustrazioni interne di questo numero, realizzate tramite software di intelligenza artificiale, sono di Oona Ode.
IN QUESTO NUMERO
David Bering-Porter / Prede del passato
Carmen Gallo / Lo spazio del pericolo
Filippo Cerri / In questa casa sono tutti morti
Flaminia Beneventano della Corte / Voci di soglia
Nicolò Palazzetti / Il sepolcro delle voci
Claudio Strinati / Il fantasma è negli occhi di chi guarda
Elvira del Guercio / Rileggere i mostri
Sergio Pace / La paura di sentirsi a casa
Daniele Cassandro / Fantasmi nelle mie cuffie
SPECIALI
[Opera indosso] Fabiana Giacomotti / La moda del lutto
[Un’intervista] Paolo Cairoli / Dialogo con George Saunders
[Una testimonianza] Stefano Nazzi / La costruzione di un orrore
[Opera in lettere] Marco Malvestio / Terrore cosmico
[Un racconto] Letizia Muratori / Altro al mondo che l’amore
[Se non ti basta] Giuliano Danieli / Il suono acusmatico, ovvero dell’ascolto inquieto