Dal 23 gennaio “I Capuleti e i Montecchi” diretta dal maestro Gatti

Prima opera del 2020, dal 23 gennaio al 6 febbraio, I Capuleti e i Montecchi di Vincenzo Bellini è il secondo titolo della stagione diretto dal maestro Daniele Gatti, opera alla quale è molto legato e che torna a dirigere dopo quasi trent’anni in un nuovo allestimento con regia, scene, costumi e luci di Denis Krief. I ruoli dei due protagonisti sono interpretati da Anna Goryachova e Vasilisa Berzhanskaya (Romeo, en travesti), Mariangela Sicilia e Benedetta Torre (Giulietta). Con loro sul palcoscenico Iván Ayón Rivas e Giulio Pelligra (Tebaldo), Nicola Ulivieri (Lorenzo) e Alessio Cacciamani (Capellio). Un’opera molto attesa dagli amanti del belcanto per la appassionata versione che Bellini, nel 1830, seppe dare della storia dei celebri e sfortunati innamorati di Verona. La vicenda alla quale attinse il librettista Felice Romani si basa su un’ampia tradizione letteraria italiana (tra cui la novella IX di Matteo Bandello del 1554) e non sulla tragedia Romeo e Giulietta di William Shakespeare, all’epoca pressoché sconosciuta in Italia.
“Una festa di matrimonio interrotta dalle armi e le armi messe a tacere dalla morte”: così la definisce il regista Denis Krief, fedele alle scelte del compositore e del librettista. “Una tragica storia d’amore contrastato umana, vera e profonda che in fondo non è legata né ad un luogo né ad un’epoca: una città mal governata, in preda ai clan, sull’orlo della guerra civile appartiene a tutte le epoche passate, presenti, e purtroppo future”.
La coppia dei protagonisti è affidata a due voci femminili: la scelta del mezzosoprano en travesti per la parte di Romeo è dettata dalla necessità di rappresentare al meglio un amore adolescenziale. L’opera fu composta in poco più di un mese, tra la fine di gennaio ed i primi di marzo, motivo per cui Bellini attinse ampiamente alla partitura del suo lavoro precedete Zaira. Nell’arco della parabola creativa belliniana I Capuleti e i Montecchi segna il punto di massima canonizzazione del linguaggio operistico. Quest’opera rappresenta infatti per il maestro catanese il punto di partenza per la ricerca formale dei capolavori successivi che caratterizzerà lo stile belcantistico belliniano.