Stagione 2012/2013

SIMON BOCCANEGRA

Direttore

Riccardo Muti

Regia

Adrian Noble

Maestro del Coro

Roberto Gabbiani

Scene

Dante Ferretti

Arredamento

Francesca Lo Schiavo

Costumi

Maurizio Millenotti

Movimenti coreografici

Sue Lefton

Luci

Alan Burrett

Simon Boccanegra

George Petean

Maria Boccanegra (Amelia)

Maria AgrestaEleonora Buratto (9)

Jacopo Fiesco

DmitryBeloselskiyRiccardo Zanellato (9)

Gabriele Adorno

Francesco Meli

Paolo Albiani

QuinnKelseyMarco Caria (9, 11)

Pietro

Riccardo ZanellatoLuca Dell’Amico (9, 11)

Un Capitano dei balestrieri

Saverio Fiore

Un'ancella di Amelia

SimgeBykedes

ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELLOPERANuovo allestimento





Musica di Giuseppe Verdi

Melodramma in un prologo e tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave e Arrigo Boito

ARGOMENTO

Prologo

Una piazza di Genova, verso la metà del ‘300.

Fervono le lotte fra patrizi e plebei per l’elezione del nuovo Doge. Un ambizioso plebeo, Paolo Albiani, confida al popolano Pietro di voler sostenere la candidatura di Simon Boccanegra – un corsaro al servizio della repubblica genovese – nella speranza di poter ottenere da questi poteri e ricchezza. Giunge Simone, angosciato perché da tempo non ha notizie di Maria – la donna amata dalla quale ha avuto una figlia – che il padre Jacopo Fiesco tiene prigioniera nel suo palazzo per impedirle di sposare Boccanegra. Paolo convince Simone ad accettare la candidatura (una volta eletto Doge, il padre non potrà più negargli Maria) e chiede di essergli vicino nella lotta per la conquista del potere. Simone accetta. Pietro chiede al popolo di votare per Boccanegra. Paolo rivela che dal palazzo dei Fieschi sono giunti i lamenti di una giovane donna e tutti osservano impauriti che da tempo Maria non è apparsa ai balconi e che solo il padre, un’ombra minacciosa e sinistra, si aggira nelle vuote sale. Jacopo Fiesco esce sconvolto dal palazzo: Maria è morta; voci lamentose cantano il suo miserere. Sopraggiunge Simone, ignaro della morte di Maria, e supplica Fiesco di perdonarlo e concedergli Maria, ma l’inflessibile patrizio, ora più che mai fermo nel suo odio mortale per il corsaro, fa balenare una speranza di perdono, a patto che Simone gli affidi la figlia di Maria. In preda a una profonda angoscia, Boccanegra rivela che la bambina, affidata a un’anziana nutrice in un lontano paese, è da tempo misteriosamente scomparsa. Ogni speranza di pace tra i due rivali svanisce; Fiesco si allontana e rimane in disparte ad osservare. Simone, esasperato, decide di entrare nel palazzo per cercarvi Maria. Poco dopo giunge il suo grido disperato – Maria! Maria! – al quale si sovrappongono, in un tragico contrasto, lontane voci di esultanza: il popolo acclama il nuovo Doge, Simon Boccanegra.

 

Atto Primo

Giardino dei Grimaldi, fuori Genova.

Sono passati venticinque anni.

Una giovane donna, Amelia Grimaldi, ricorda confusamente un passato doloroso mentre attende l’arrivo dell’uomo che ama, il nobile Gabriele Adorno, che giunge cantando una canzone d’amore. La fanciulla si dice preoccupata per la vita del giovane, che sa coinvolto in una congiura patrizia contro il Doge “plebeo”, assieme all’uomo che si prende cura di lei – il nobile Andrea Grimaldi (sotto questo nome si cela Jacopo Fiesco, creduto morto da Simone) – e a Lorenzino, un plebeo segretamente vendutosi ai patrizi. Giunge Pietro e annuncia che il Doge desidera visitare il palazzo dei Grimaldi. Amelia, turbata, avverte Gabriele che Simone chiederà la sua mano per il favorito, Paolo Albiani, e lo supplica di affrettare le loro nozze. Rimasto solo con Gabriele, Andrea gli rivela l’oscura origine di Amelia, un’orfanella che, raccolta nel convento dove era morta la vera figlia dei Grimaldi, ne ha assunto il nome. Entra il Doge, con Paolo e il suo seguito, e si rivolge ad Amelia offrendo pace alla casata dei Grimaldi e chiedendole di parlargli di sé. La fanciulla confessa di essere desiderata dal perfido Paolo, che aspira ad impossessarsi delle ricchezze dei Grimaldi, e narra la sua storia di povera trovatella, suscitando nel Doge un crescente interesse. Simone la incalza con le sue domande e le mostra un ritratto della figlia Maria: dalla reazione di Amelia il Doge capisce che lei e Maria sono in effetti la stessa persona. Commosso per aver ritrovato la figlia perduta, l’abbraccia teneramente e la rassicura: non verrà data in sposa contro la sua volontà. Allontanatasi la fanciulla, Simone ordina a Paolo di rinunciare a lei. Paolo allora, furente per l’ingiunzione del Doge, stabilisce assieme a Pietro di rapire Amelia servendosi dell’aiuto di Lorenzino, che tiene in suo potere, essendo a conoscenza del suo tradimento a favore dei patrizi.

Sala del Consiglio Il Doge chiede il parere dei suoi consiglieri circa la guerra con Venezia; sensibile all’esortazione di pace del Petrarca, vorrebbe evitarla, ma trova la violenta opposizione di Paolo e dei suoi Consiglieri. Dalla piazza giungono i clamori di un tumulto. Simone si affaccia ad un balcone e scorge Gabriele Adorno inseguito dai plebei. Temendo di essere scoperto quale organizzatore del rapimento, Paolo cerca di uscire dalla sala, ma il Doge ordina che tutte le porte siano chiuse. I rappresentanti del popolo e della nobiltà stanno per venire alle armi, dalla piazza giunge il grido di “Morte al Doge!”. Simone ordina di aprire le porte per far entrare i contendenti e ascoltare le loro ragioni. La folla irrompe, Gabriele e Andrea sono agguantati dai popolani, che chiedono vendetta per l’assassinio di Lorenzino. Gabriele dichiara di averlo ucciso perché aveva tentato di rapire Amelia e dice che, prima di morire, Lorenzino ha confessato di essere stato spinto al crimine da “un uom possente”. Il giovane patrizio fa intendere di sospettare del Doge e si slancia verso di lui per ucciderlo. Ma viene fermato da Amelia, che si frappone fra lui e il padre e racconta di esser stata rapita da tre sgherri, di essere svenuta e di essersi risvegliata nella casa di Lorenzino. Poi “fissando Paolo”, dice di poter riconoscere il vile mandante del suo rapimento. Scoppia un tumulto, plebei e patrizi si accusano a vicenda; Simone interviene con parole accorate a placare gli animi, chiedendo pace e concordia per il suo popolo. Gabriele si consegna a lui offrendogli la sua spada, che il Doge rifiuta prima di rivolgersi, “con forza terribile”, a Paolo, di cui ha intuito la colpevolezza. Dopo aver affermato che il traditore è presente, Simone impone all’Albiani di unirsi alla comune esecrazione del vile. Paolo, inorridito, è costretto a maledire se stesso. Tutti i presenti gridano minacciosamente “Sia maledetto!”.

 

 

 

Atto Secondo

Stanza del Doge nel Palazzo Ducale di Genova.

Paolo, bandito da Genova, prima di partire per l’esilio, vuole vendicarsi dell’uomo che un tempo ha fatto salire al trono dogale. Dopo aver versato un veleno nella tazza di Simone, convoca Gabriele e Andrea e chiede a quest’ultimo di colpire il Doge nel sonno. Il nobile Fiesco rifiuta di compiere un atto così sleale. Paolo non desiste: insinua in Gabriele il sospetto che Amelia si trovi nelle stanze del Doge, vittima delle sue turpi attenzioni. Giunge Amelia e tenta invano di convincere Gabriele della purezza dei sentimenti che la legano a Simone, senza rivelargli però di esserne figlia. All’arrivo di Boccanegra, ella nasconde il giovane sul balcone e implora il padre di concedere a Gabriele il suo perdono. Simone, perplesso, chiede di rimanere solo. Versa dell’acqua nella tazza, la beve e si assopisce. Gabriele gli si avvicina per ucciderlo, ma ne è impedito dal ritorno di Amelia che, ancora una volta, si frappone fra i due e supplica il giovane di riporre il pugnale. Il Doge, risvegliatosi, sfida Gabriele a colpirlo, gli chiede i nomi dei complici e lo accusa di avergli rubato la figlia. In tal modo Gabriele conosce la verità sul vero legame che unisce Simone ad Amelia/Maria. Si odono voci concitate: i cospiratori stanno assalendo il palazzo. Il Doge incarica Gabriele di comunicare loro le sue proposte di pace. Il giovane obbedisce e si dice deciso a tornare – se non verrà ascoltato – per combattere al fianco del Boccanegra, che gli concede la mano della figlia.

 

 

Atto Terzo

Interno del Palazzo Ducale.

La rivolta è fallita, i congiurati patrizi (ai quali si era unito, per sete di vendetta, Paolo) sono stati sconfitti. Prima di essere condotto al patibolo, Paolo rivela che un veleno sta per uccidere Simone. Il lieto coro nuziale che giunge di lontano fa inorridire il traditore: egli confessa a Fiesco – che l’ascolta sconvolto – di essere stato il rapitore di Amelia. Simone – in preda a un misterioso affanno, primo sintomo del veleno propinatogli da Paolo – cerca refrigerio respirando sul balcone l’aria del mare, che gli ricorda le glorie passate. All’improvviso gli si avvicina Fiesco che, nell’annunciargli la morte imminente, si fa riconoscere come il suo antico rivale, poi celatosi sotto il nome di Andrea Grimaldi. Il Doge risponde ai suoi propositi di vendetta rivelandogli che Amelia è la figlia scomparsa di Maria, che a sua volta era la figlia di Jacopo Fiesco. La commozione invade il vecchio patrizio che, troppo tardi, comprende l’inutilità del suo lungo odio e cede all’abbraccio di Simone. Fiesco, accettando commosso il gesto di rappacificazione del Doge morente, gli rivela che un traditore lo ha avvelenato. Entrano Amelia e Gabriele, seguiti dalla corte dogale. Simone invita la figlia a riconoscere in Fiesco il padre di Maria, benedice i due innamorati e muore, dopo aver proclamato Gabriele Adorno nuovo Doge di Genova.

Le date

Prima rappresentazione

  • giovedì
    06
    Dic
    ORE 20:00 Turno fuori abb.

Le repliche

  • martedì
    11
    Dic
    ORE20:00 Turno fuori abb.
  • mercoledì
    27
    Nov
    ORE19:00 Turno a
  • venerdì
    29
    Nov
    ORE20:00 Turno b
  • domenica
    01
    Dic
    ORE18:00 Turno d
  • mercoledì
    04
    Dic
    ORE20:00 Turno c
  • lunedì
    09
    Dic
    ORE16:30 Turno e